- Federica De Vita e Franco Venturini (discendente del
celebre dantista Domenico Venturini) reinterpretano la
cantica infernale dando vita a un allestimento
anticonvenzionale e appassionato.
- Ci si aspetterebbe luci vermiglie e riproduzioni di
fuochi minacciosi ad ogni angolo del palco. Invecela scena è
scabra, stranamente chiara e minimalista. Una scelta che
rivela la giusta intenzione di dar risalto alle parole, ad
esse soltanto, e lasciare che il loro potere colpisca
diretto lo spettatore, senza dar adito a distrazioni né ad
artificiose suggestioni. La scenografia è dunque una sedia
nel mezzo, e alle spalle un telo bianco, verticale, con
appese due maschere teatrali senza volto, a richiamare
l’inespressiva e scolorata forma delle anime. La De Vita si
muove con grande controllo all’interno di questo spazio, ora
leggendo ora declamando gli altissimi versi del poeta. I
brani scelti, recitati con passione, sono legati da brevi
raccordi narrativi che ne rendono fluido l’andamento. Il
pubblico si lascia condurre nella selva, trema davanti alle
mostruose fiere, oltrepassa l’accesso infernale e si
abbandona all’ascolto delle anime sofferenti. Ad ogni
personaggio corrisponde una precisa scelta di regia:
l’attrice è Francesca, in piedi dietro alla trasparenza del
telo, una luce puntata dal basso sul corpo reso così
evanescente e ultraterreno, mentre dispera e maledice il
romanzo galeotto; diventa poi tronco, appiattita sullo
sfondo nudo del palcoscenico, le braccia sollevate e protese
a rami sanguinanti, quando presta il corpo al suicida Pier
delle Vigne e al suo strazio eterno; è infine,
semplicemente, uomo, accasciata sulla sedia e corrosa da
innominabile tormento, nella struggente interpretazione del
conte Ugolino che chiude grandiosamente la rappresentazione.
- Un allestimento opportuno e necessario, realizzato con
dignità e infinito rispetto per l’opera a cui dà voce.
L’amore che Federica De Vita e il regista Franco Venturini
hanno impresso nel lavoro emana da ogni parola pronunciata,
da ogni gesto compiuto in scena.
- La grandezza di questa rappresentazione sta proprio nel
suo essere “piccola”, nell’umiltà con cui i protagonisti si
pongono al servizio della Poesia, riconoscendole sul palco
la sovranità indiscussa.